All my world

Archivio per Maggio, 2013

Tolone Libera – Parte IV

“Rompete le righe, tra due ore addestramento alla linea di fuoco!”, era la voce del nostro sergente.

Finalmente potevamo uscire da quelle uniformi pesanti e costrittive.
Era strano come in una fase così concitata di questa battaglia ci si tenesse così tanto a far bella figura ma d’altronde si sa, la presentazione di un nuovo ufficiale è sempre un momento da sottolineare.

D’altra parte avevamo appena appreso una notizia molto importante, dopo settimane che se ne sentiva parlare dunque eravamo davvero alle porte di Tolone.
Cominciavano a venirmi dubbi su quanto distasse ancora.
Il nuovo Capitano mi sembrava una persona molto risoluta e forse era quello che ci voleva in questo momento.

Mi diressi insieme a Gerard e Jean Pierre verso il carro che trasportava i rifornimenti e i vari servizi.
Il Caporale addetto stava già distribuendo le tende e io, come responsabile di tenda dovevo occuparmi del suo ritiro.

Mi avvicinai “Monsieur Caporal, je suis Caporal Baudoin!“, mi guardò poi sorrise, teneva in mano una piccola pila di fogli ed una matita.
“Caporale Baudoin, certo fai presto tu a dirmi un nome, ma io ho qui un elenco di tutta la Divisione! Son cinquemila nomi! Dimmi almeno Reggimento e Battaglione…”.
“Già, hai ragione, capisco…Prima Brigata, Primo Reggimento, Secondo Battaglione…” – “enterprise d’orange” completò lui indicando con la matita il mio pom-pom “numeri bassi, Caporale, complimenti siamo tra i migliori!”.
Scorse velocemente la lista.
“Tenda nove, spiazzo sei. Troverai tutti gli accessori nella tenda forniture, come sempre.”, e così dicendo un soldato semplice già sul carro non ci mise molto a portarmi uno zaino contenente tutto il necessario per costruire la nostra “maison“.

Presi lo zaino, mi incamminai verso i miei compagni e poco dopo avevamo già montato la nostra tenda da campo, con tanto di fornello, tavolo e le immancabili carte da gioco.

“Scommetto cinque franchi che oggi ti batto…”, prese Gerard.
“Sai che con le carte non ho speranza” risposi deluso mentre il mio compagno si appropriava di altri importanti punti.
“No, Bernard…sai cosa intendo, non parlo delle certo delle carte. Credi che tra secoli ci ricorderanno più per la nostra rivoluzione o le nostre carte?” sorrise, ma non capii davvero a cosa si riferiva e di certo non avrei saputo rispondere.
Stavo ancora pensando per cosa ci avrebbero ricordato quando lui incalzò.

“Parlo del tiro di fuoco, scommetto cinque franchi che prendo due gialli, e prima che tu finisca l’ultimo sparo”, assaporò una fumata dalla sua pipa.

“ahahah, ma lo sai che questo non succederà mai! ahah, vuoi battermi al tiro? très bien, accetto la scommessa, e vuoi smettere di fumare?”, intanto prendeva altre carte, ormai mi era rimasta una mano e buttai le carte sul tavolo.
“Intanto questa l’hai vinta ancora tu!”.
“Tu continua a rompere con questa storia del fumo, eppure lo sai che può salvarti la vita, in battaglia”.
“Si, come no? Ancora questa tua bizzarra idea di anticipare lo sparo con la fumata della pipa, ma per favore, dai. Piuttosto mettiamo via le carte che tra poco devo darti una lezione di tiro!”, e così dicendo presi la mia Sophie Charlotte, sempre pronta anche mentre si giocava a carte perchè un soldato francese deve essere sempre pronto.

O almeno così dicevano.

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Tolone Libera – Parte III

Il tamburo scandiva la nostra marcia, ora ero perfettamente allineato ai miei compagni d’arme anche se il passo da parata, benchè più corto di quello da marcia, era più pesante in quanto era richiesta più coordinazione.

Questo però significava che non stavamo conducendo alcuna operazione militare, stavo giusto riflettendo su questa cosa quando dalla cima della collina dove eravamo ormai arrivati, potevo vedere in lontananza le altre Compagnie.

Tutto il nostro 2° Battaglione era presente e vedevo anche metà del 1°.
Il Reggimento Indomptable era quasi al completo!

Il tamburo scandì la fermata e le nostre gambe, d’istinto smisero di marciare.
Eravamo fermi, con il nostro moschetto in spalla, qualcuno tossì.

Il Sergente Dumont prese la parola – “Seconda Compagnia, At-tenti!” il rumore dei tacchi dei nostri stivali si fece sentire.
“E’ con dispiacere che vi devo riferire che il nostro Capitano Dommartin, come sapete ferito in modo vile dal nostro nemico realista, non potrà continuare la battaglia per la libertà al nostro fianco. Non per Tolone. Non oggi. In questo momento già è in viaggio per la città libera di Nizza dove riceverà le meritate cure.”

Un lieve mormorio si alzò, il Capitano non era davvero ben voluto, qualche volta aveva dato segno di essere troppo prudente e la sensazione era acuita dal fatto che la morsa da Est di La Poype era stata, almeno all’inizio molto più veloce del nostro fronte Ovest che pure era equipaggiato con più artiglieria.
Il Sergente non diede molto tempo per i nostri commenti.
“La buona notizia è che è già stato nominato il nuovo Capitano, nonchè Capo dell’artiglieria del nostro Colonnello Carteaux, stiamo per conoscerlo, si chiama Buonaparte, Napoleone Buonaparte!”.

Ci guardammo in faccia stupiti. A me sembrava di aver già sentito quel nome ma non ricordo dove o quando.
Sentii il solito Jean Pierre dire una frase molto eloquente: “merde, déserteur!”.

Dumont riprese la parola “Costituiremo la parata completa del Reggimento Indomptable della Prima Brigata, e il Capitano Buonaparte passerà per l’ispezione!”

Il tamburo riprese il suo ritmo di parata e noi il nostro. Tornai a pensare a dove avevo sentito parlare di quel nuovo Capitano, e anche a quelle parole di Jean Pierre.
Collegavo quel nome all’accademia a Marsiglia e improvvisamente me lo ricordai. Era l’ufficiale che doveva insegnarci l’uso dell’artiglieria, ma che non era mai presente perchè andava sempre in Corsica!

Giravano voci che fosse appunto anche un disertore, dato che non era mai disponibile.
Ma se non ricordo male era un ottimo soldato che si era distinto durante la Rivoluzione, passando da essere ufficiale al servizio della monarchia alla Guardia Nazionale nel giro di poche ore.

Il tempo di formulare questi pensieri ed eravamo arrivati in una piccola vallata, giusto quanto bastava per contenere tutto il Reggimento di quasi duemila e cinquecento uomini.

Eravamo un tutt’uno e come sempre io mi immaginavo di essere un realista o una giubba rossa, mai avrei voluto trovarmi davanti ad un’Armata Francese!

Fu allora che lo vidi la prima volta: era davvero un piccolo uomo, molto più giovane della sua fama, gli avrei dato venticinque anni, arrivò in groppa ad un imponente cavallo bianco, con un portamento da Generale.
Ricordo che la prima cosa che pensai fu “Mon Dieu! Di male in peggio!”.

Il Capitano Buonaparte rimase a cavallo e cominciò a passare in rassegna lentamente le Compagnie.
Non potevo sentire cosa avesse detto prima, all’altro Battaglione ma lo vedevo mentre si dirigeva verso il nostro.
Quando prese la parola era così animato e convincente che sembrava non essersi mai fermato nel parlare.
“Francesi! Pochi uomini possono dire di aver avuto la fortuna di vivere momenti così importanti come noi nella storia dell’Uomo! Fino a pochi anni fa la libertà era concessa solo come diritto di nascita, ora finalmente con questi venti Rivoluzionari ognuno è artefice del proprio futuro! Laggiù ” – indicò Tolone e la sua baia – “c’è una città che ancora non conosce il gusto di questa Libertà! E’ ancora oppressa dall’ombra delle monarchie. Noi siamo la luce dunque, e spetta a noi liberare i nostri confratelli tenuti al buio!”, si fermò per dare più significato alle parole appena pronunciate e ci guardò nelle nostre uniformi, era molto fiero, anche se lo sembrava più per il potere di cui era investito, piuttosto che nel vederci schierati.
“Io ho già pronto il piano per la riconquista della nostra Tolone ma ho bisogno di voi! Ci riorganizzeremo e impareremo ad utilizzare l’artiglieria che abbiamo, sarà quella la nostra chiave. Loro tengono la città con la Marina e credono sia impossibile per noi scacciare le loro navi senza navi. Impossibile è una parola che esiste solo nel vocabolario degli stupidi!”.

Ora eravamo galvanizzati, nessuno ci aveva mai parlato in quel modo, in effetti.
Quasi sembrava che la battaglia fosse già stata combattuta e vinta.

“Francesi, seguitemi! Viva la Libertà!” –
“Viva la Libertà, Capitano!” – rispondemmo tutti in coro.
“Riposo!”, rispose lui e si allontanò al passo verso una tenda blu scuro, il suo quartier generale da campo.

Sentivamo di essere ad un punto di svolta.

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Teoria del Carciofo

Mi capita spesso di avere delle idee, creare cose e poi scartarle dicendomi “ma questa cosa in realtà non può funzionare perchè se si considera quel fattore, sicuramente tutto il presupposto viene meno…”.

E allora la metto nel cassetto, relegandola un ruolo di esperienza conoscitiva senza la quale non avrei pensato a certe dinamiche.

Poi magari dopo qualche giorno, settimana o mesi rivedo praticamente la stessa idea (magari elaborata in modo leggermente diverso: difficile che sia proprio la stessa) e vedo che ha funzionato: ha un discreto successo.

E allora penso “ma perchè l’ho scartata? Perchè mi è sembrato giusto scartarla e non reputarla adatta al pubblico?”.

Ripenso quindi a come hanno fatto gli inventori nel passato, e gli esploratori (non solo in termini di viaggi ma di qualsiasi orizzonte da raggiungere) prima ancora, a scoprire le cose.

A me per esempio il carciofo non piace.
Non mi piace in nessun modo lo si cucini.

E allora provo ad immedesimarmi in un esploratore, migliaia di anni fa (non so da quando il carciofo arriva nel menù dell’essere umano) che, camminando per le foreste, le colline, i prati, trova questa strana vegetazione a fusto dall’aspetto anche abbastanza selvaggio con quelle punte minacciose.

Prova a reciderne un pezzo ed assaggiarlo.

Da lì scatta un bivio: a lui piace o no?
E se non gli piace può capire che a qualcuno potrà piacere?

Lo sceglie? Lo porta con sè pur non piacendogli?
Oppure lo scarta?

E se lo scarta, quanti esploratori hanno scartato il carciofo prima di farcelo scoprire come cibo commestibile?

Quindi un’idea non è giusta o sbagliata ma dipende molto da chi la pensa (o “scopre”) e dalla sua sensibilità (o precognizione) nel sapere se divulgarla e come.

Per cui verrebbe da non scartare più alcuna idea ma in realtà anche questo non si può fare, altrimenti si avrebbe un numero di fallimenti tali da nascondere qualsiasi eventuale successo.

Chi ha scoperto che il carciofo sia commestibile?
Io non ci sarei mai arrivato nemmeno assaggiandolo.

Tolone Libera – Parte II

Tornai verso il nostro campo, giusto in tempo per vedere che tutti i miei compagni erano svegli.
Bene, finalmente avrebbero smesso di poltrire.

Molto spesso ero il primo a svegliarmi e sinceramente non era una cosa che riuscivo tanto a digerire.

Ma perchè si stavano tutti preparando con la divisa da parata?
Anzi stavano anche pulendo le loro armi e i Granatieri addirittura lucidavano le loro sciabole.

“Caporale Baudoin, Caporale, a rapporto!”, la voce era quella del Sergente Dumont.
“Questa mattina visita d’ispezione del nostro nuovo Capitano assegnato, è in ritardo Caporale, come sempre, ma questa volta voglio essere magnanimo: ha esattamente sei giri minuti d’orologio per farsi trovare in linea con gli altri Fucilieri! Si muova, in nome della Francia!”.
“Signor si, Sergente!”, risposi d’istinto.
Stetti sull’attenti per gli istanti necessari poi corsi verso la mia tenda, il tempo a disposizione era davvero poco.

Passai come una palla di cannone affianco ai miei commilitoni e mi gettai dentro la tenda mentre già mi stavo spogliando dell’uniforme da ordinanza per infilarmi quella da parata.
Infilai velocemente i pantaloni bianchi avendo cura di utilizzare tutti i passanti per la cintura e poi di allacciare tutti i bottoni, che parevano non finire mai.
Essendo l’uniforme da ispezione, alcuni bottoni erano in oro. Indossai poi la sopravveste bianca e infine il mantello blu scuro con i suoi risvolti bianchi.

Mentre allacciavo i gemelli ai polsi, con lo sguardo cercavo il colletto.
Lo intravidi che spuntava dal baule e forse avrebbe odorato troppo di tabacco.
Gli diedi qualche colpo violento per sbatterlo e cominciai ad abbottonarlo intorno al collo.

Fuori sentivo già il ritmo dei tamburi di marcia, indice che gli altri avrebbero cominciato ad allinearsi.
Mi gettai letteralmente sugli stivali neri, infilandomeli in un sol colpo: era la prima volta che mi succedeva, forse non era tutto perduto.

Bene, infilai il pom-pom arancione che contraddistingueva noi della III Compagnia al mio cappello bicorne e uscii dalla tenda.

Non mi ero reso conto del sole già abbastanza caldo e alto nel cielo, se non avessi avuto i minuti contati direi che sarebbero state già le undici del mattino: nulla a che vedere quindi con la giornata piovosa di ieri.

Avvistai ad una trentina di metri i miei compagni e li raggiunsi di corsa, calandomi il cappello, a circa cinque metri cominciai a tenere un passo di marcia sostenuto in modo da poterli raggiungere senza dare troppo nell’occhio.

Nel rumore della marcia, come mi avesse sentito arrivare, e conoscendolo avrebbe anche potuto farlo, il Sergente Dumont si girò fissandomi con uno sguardo severo ma tutto sommato soddisfatto di avere la Compagnia al completo.
Battè la mano all’altezza del cuore, dove teneva un modernissimo orologio a cipolla portatile, come a farmi capire che ero appena in tempo.

Feci un cenno d’intesa con la testa, poi mi girai a destra, verso Gerard e senza dire una parola, dato che era vietatissimo in parata, agitai la testa come a chiedere “dove stiamo andando?”.

Lui corrucciò la fronte e fece cenno di non sapere nulla.
Come sempre la Fanteria non sapeva nulla, doveva solo marciare e incutere timore al nemico.

Ma era certo che la Francia chiedeva di noi e stavamo rispondendo nel migliore dei modi, con le nostri migliori uniformi e con un ordine che tutte le altre armate ci invidiavano.

Stavamo per unirci alla seconda Compagnia, li riconoscevo dal pom-pom blu e quindi saremo stati in duecento uomini eppure il frastuono era quello di trenta, talmente eravamo coordinati.

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Tienimi in Alto

La vita è un volo a vela.
Io l’aliante e Tu la mia termica.

Teoria dell’ora buca

Mi capita spesso di pensarci: ci sono cose che riesco a fare meglio solo quando ho poco tempo rimasto.

Per esempio mi capita spesso di fare ordine tra tutte le varie corrispondenze che mi sono arrivate durante la settimana, solo alla domenica sera.
Quando in teoria uno dovrebbe svagarsi e godersi le ultime ore di tempo libero del weekend.

Però non so, è che in quei momenti mi rendo conto di avere del tempo, inteso come periodo ben stabilito, oltre il quale non posso andare.
Vuoi che sia l’ora della cena o semplicemente il fatto che non vuoi andare a dormire troppo tardi (anche se sappiamo tutti che quest’ultimo non sia un vincolo molto forte).

La cosa strana è che in quei momenti riesco a fare anche cose che altrimenti non avrei voglia di fare, ma mi rendo conto che, se facessi qualcosa di più divertente, il tempo volerebbe via portandomi direttamente alla fine del weekend.

E’ un po’ come succedeva a scuola, durante le ore buche, le ore in cui mancava il professore previsto: capitavano dei giorni che effettivamente non facevi nulla di che, scherzavi con i tuoi compagni, altri in cui pur di riempire il tempo e distrarti, valutavi divertimenti che fuori dall’orario scolastico non sarebbero nemmeno considerati tali.

Cose tipo leggere o addirittura ripassare, o ancora studiare qualcosa di tuo.
A casa, nel tempo libero, avresti fatto ben altro.

Parlo di quando si è adolescenti, perchè poi leggere diventa anche una cosa piacevole sebbene tuttora io abbia sempre qualcos’altro da fare.

Ricordo anche quando frequentavo l’università, a volte pur di non studiare mi improvvisavo in particolari compiti come fossero doveri: ordinare la camera, pulire l’auto, andare a pagare l’assicurazione o chiamare un cliente per quell’appuntamento che ti aveva chiesto.

Questa è la teoria dell’ora buca: ricavarsi del tempo all’interno di un impegno con l’illusione di allontanarlo.

E non è certo da reputare irresponsabile nella giusta misura, perchè ti permette di non essere un’automa e di accrescere le tue conoscenze oltre a quelle stabilite.

Allontanando di un po’ il rischio del Mondo Bianco.

Tolone Libera – Parte I

15 Settembre 1793 – Campagne nei dintorni di Tolone

Era già l’alba ma si sentiva che la giornata sarebbe stata ancora afosa, la pioggia del giorno prima aveva fatto rallentare i ritmi dei giorni precedenti quando in effetti sembrava che le cose stessero precipitando un po’ troppo velocemente.

Da quando il Capitano Dommartin era stato ferito, nessuno del nostro battaglione era stato nominato al suo posto.
Voci dicevano che oggi sarebbe arrivato il nuovo Capitano.

Eravamo quindi tutti in fermento e io mi ero svegliato particolarmente presto, disturbato da un’improvvisa voglia di confettura.
Come potessi averne.

Non pioveva più e le nuvole che erano in cielo non presagivano altra acqua per le prossime ore, probabilmente avremmo ripreso l’avanzata verso Tolone.

Le nostre otri d’acqua erano vuote e quindi decisi di approfittare del fatto che fosse presto per andare a riempirle al ruscello.
Le legai quindi a Giroduax, il nostro mulo tuttofare, e ci avviamo.

Sentivo l’aria frizzante dovuta alla vicinanza del mare, non mi ricordava completamente la mia Grenoble, ma non ci andava nemmeno molto lontano. Il clima mediterraneo si faceva sentire, specie d’estate.

Ero assorto ai miei ricordi, e a quelli con Sophie Charlotte, quando senti il rumore sordo di una cavalcata in lontananza.
D’istinto portai la mano sinistra alla canna dell’altra mia Sophie Charlotte, il mio inseparabile Charleville 1777, fucile d’ordinanza che costituiva il nostro principale strumento di lavoro.

Che potesse essere un messaggero spagnolo?
O addirittura una giubba rossa?

Corsi a nascondermi dietro un albero, la mia unica speranza contro una sentinella a cavallo sarebbe stata quella di colpirla al primo colpo, altrimenti sarebbe scappata immediatamente informando la nostra posizione.
Come non la sapessero, li stiamo assediando, Mon Dieu! No, in realtà il problema è che se fosse passata, un messaggio poteva essere recapitato e questo sarebbe stato ancora peggio.

Diedi un’occhiata veloce e potei notare il tricolore francese, era dei nostri, uscii quindi allo scoperto, non volevo certo sembrare un codardo nascosto al nemico.

“Largo, largo Caporale! E levate quell’asino dalla strada!”
Era al galoppo e aveva subito notato il mio grado sulla casacca, portai la mano per il saluto militare per pochi istanti, poi mi affrettai a spostare dalla strada Giroduax.
“E’ un mulo, mormorai tra me e me”.

Il messaggero mi guardo con sguardo severo, come mi avesse sentito e passò velocemente senza rallentare.

Era chiaro che qualcosa, oggi, sarebbe successo.
Motivo in più per affrettarmi nel procurarmi dell’acqua, come Caporale avrei avuto tempo per saperne di più.

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Essere pragmatici non Paga

33 anni e mi sa che comincerò a fare il cameriere e mi laureerò.
D’altra parte, quando poco più di dieci anni fa lasciai l’università, era settembre 2001, mi dissi “vado a lavorare per capire a cosa mi serve la Laurea, poi la prenderò, ora non ha senso: troppa teoria mentre il mondo del lavoro galoppa”.

Bene, quindi cominciai a lavorare.
Non avevo altra scelta, avevo già delle spese troppo alte: avevo acquistato un auto, pagavo l’assicurazione, la benzina, e anche tutte le spese erano a carico mio, i miei, finita la scuola superiore non sosteneva economicamente (la mia prima auto regolarmente acquistata sebbene fosse usata, pagata 1500euro), a parte diciamo vitto e alloggio (che non è mica poco eh).

Tutto questo da quando avevo 20 anni.
Ma non aprii partita iva, non ne vedevo il motivo: mio fratello l’aveva ma non capivo perchè uno doveva perdere tempo a far fatture, pagare un commercialista, pagare iva e tasse per non avere ferie e malattia e poter essere cacciato da un giorno all’altro, se (nel migliore dei casi) al cliente veniva meno la commessa.

E allora mi feci assumere, anno 2002, in verità anche con l’obiettivo di saltare la naja: legge De Martino numero NON-RICORDO, art. 10, comma m (questi li ricordo): potevo aver diritto al congedo se, con il mio servizio di leva, si bloccava un’intera area produttiva dell’azienda.

Nell’azienda in cui lavoravo eravamo: il titolare, io come capo progetto formale, un ragazzo alla quale ho insegnato tutto l’insegnabile in due anni e la sera un paio di volte alla settimana un ingegnere esterno che era il vero capo progetto ma mi insegnava come tenere le “fila di un progetto” durante la sua assenza.
Avevamo anche due stagisti da formare quindi feci richiesta e due settimane prima della partenza al Servizio di Leva (avevo già in mano la famosa “cartolina”) arrivò il Congedo: è tuttora il giorno più bello della mia vita e non ne ricordo nemmeno la data. Incredibile.
Si vede che non vado a braccetto con la felicità.

Periodo di grande formazione professionale, ma a metà 2004 sentivo che non stavo imparando più nulla.

Decisi di cambiare e mi feci assumere da un’azienda di consulenza a Milano.
Finalmente Milano, a 24 anni.

Purtroppo li l’esperienza si concluse male: in sei mesi di dubbi colloqui (poco ci mancava mi chiedessero di fare amministrazione, e con il senno di poi avrei pure accettato) mi lasciarono a casa.

7 Ottobre 2005 venni licenziato, la prima volta in vita mia che il giorno dopo mi sarei svegliato senza aver formalmente nulla da fare. Ricordo che quella sera andai al cinema a vedere “L’esorcismo di Emily Rose”. Non mi piacciono i film d’orrore, ho troppa paura, ma quella sera non provai nulla.

Mi presi del tempo per imparare delle nuove tecnologie e a Gennaio 2006 aprii la partita iva perchè ebbi il “sospetto” che le aziende non erano propense ad assumere.
Dopo quindici giorni (e decine di chiamate di richiesta di lavoro) il primo lavoro.
Una consulenza che poi mi impegò per tre anni.
Qui il salto è stato enorme: finalmente ero davvero in contatto con la vera consulenza milanese, wow.

La chiusura della commessa dal cliente e l’idea che si potesse lavorare ancora più ad alto livello mi spinsero a provare a lavorare con più alte eccellenze sul panorama italiano.

Perchè no?

La cosa andò in porto e dal 2009 quindi altra botta professionale: ora non solo lavoravo nella consulenza ma intravedevo anche qualcosa di manageriale.
Come si stima un progetto, le risorse impegate, provare a capire quando una certa dinamica sia sostenibile o meno.

E poi ancora, non solo codice ma anche cura del cliente, scrittura di analisi, deontologia.

E commesse tagliate.
Sei mesi senza progetti nel 2010, il pareggio dei primi mesi del 2011 (raggiunsi addirittura il livello del conto in banca del 2003, prima di acquistare l’auto. 6 anni di partita iva per riportarmi ai livelli del conto che avevo dopo circa 2 anni di dipendente) poi il boom del tardo 2011 e la lieve flessione del 2012.

E siamo alla storia recente.

Qualcuno a questo punto della storia potrebbe anche giustamente chiedersi perchè, dopo queste conclusioni, continuassi a tenere il regime di partita iva e non mi fossi ancora fatto assumere (declinando la proposta per ben due volte da due società diverse).

La verità è che, conoscendomi, come dipendente potrei non lavorare nello stesso modo.
Io NON ho la passione del mio lavoro dal punto di vista tecnico, sfatiamo pure questo mito, ho la passione di far felici i committenti e di gestire le cose.
Questo da sempre, fin da quando facevo il Master in d&d: organizzavo le avventure e riuscivo a far perdere i miei NPC (Non Player Characters) a favore dei PC (Player Characters) con stile e con gran divertimento dei giocatori.
Vinceva il gioco.

Come dipendente continuerei a far bene il mio lavoro, dal lato tecnico, ma non credo riuscirei a sentirmi coinvolto ugualmente, non saprei come sentirmi gratificato (a meno che non mi facciano manager, a quel punto tornerei ad avere alcuni dei pesi di responsabilità che si hanno nel rappresentare una propria attività).
Non si passa facilmente da gestire una partita iva a fare “solo” il proprio lavoro per 8 ore.
Avete presente Rambo quando torna alla vita civile?
Ecco.

In realtà da questo torpore ho cominciato a svegliarmi durante il 2012: 32 anni e, cambiando cliente, scopro un mondo dove la totalità (si, TUTTI) i miei colleghi, alcuni della mia età, alcuni anche molto più giovani (5 ma anche 7 anni in meno) hanno moglie (o marito), una casa e magari anche un figlio.
E giocano a calcetto, coltivano passioni.
Li vedo lavorare: per lo più scaldano la sedia: fanno cose in 8 ore che io faccio in più o meno 15 o 20 minuti.
Avete presente Rambo contro la Guardia Nazionale fuori dalla miniera?
Ecco.

Ma realizzo che non si vive per lavorare: lavorano ventiquattro volte in meno di me (è matematica eh: 8 ore / 20 minuti = 24), il che vuol dire più o meno che mese di loro lavoro è paragonabile ad una mia giornata (considerando circa 21 giorni lavorativi al mese), ma hanno una casa ed una moglie, le ferie e la malattia.
Alcuni la macchina aziendale o il cellulare, i ticket.
Tutte cose che mi danno la nausea perchè io ogni giornata me la devo sudare, altrimenti posso essere lasciato a casa, e di certo non avanza nulla.

Primi mesi del 2013, l’ennesima commessa interrotta improvvisamente e un mesetto di fermo, ricomincio a lavorare ma si presenta la Riforma Fornero del Lavoro.

Con questa riforma chi è in partita iva ma si trova in regime di monocommittenza (ovvero un solo cliente, come se il destinatario delle fatture identificasse il lavoro che svolgi) fa un uso fraudolento (fraudolento addirittura, dopo tutti i sacrifici per avere un ricavo di cui vivere) della stessa, perchè si ipotizza un mascheramento di un rapporto in realtà continuativo e subordinato (tradotto: dipendente).

Si perchè il problema non è l’evasione fiscale ma “smascherare” le “false” (false secondo i criteri sopra esposti) partite iva.

Ci sono anche clausole per non rientrare in questa normativa, come per esempio essere iscritti agli Albi o Ordini Professionali.
Certo ma regole create nel 2012 che non tengono conto che nel 2001 (quando io ho lasciato l’università) mica serviva essere inquadrati in certi Ordini per poter lavorare “liberamente”.
Così mentre è ovvio che non essendo laureato non possa iscrivermi all’Albo degli Ingegneri (nonostante la mia mansione sia praticamente quella da circa 10 anni), allora m’informo sul Consiglio Nazionale dei Periti Industriali (essendo Perito Informatico) e scopro che ora, per aver diritto al concorso devi essere laureato.
Per essere registrato al Consiglio Nazionale dei Periti Industriali, devi essere laureato. Mah.

Per inciso, nel mondo del lavoro (cavolo come è avanti), 10 anni di anzianità corrispondono al profilo di laureato.

Così mentre uno si è creato un proprio mondo, un proprio ecosistema in modo molto pragmatico (altro che “l’hai scelto tu”), lasciando l’università perchè non ce la si può permettere (a meno di non fare qualche lavoretto part time che però nulla ha a che fare con il lavoro che vorresti, rimandando quindi la tua preparazione), aprendo partita iva altrimenti vaghi per anni inviando curriculum (e quindi continuando quei lavoretti già menzionati) e finalmente imparando a galleggiare in un mondo che fa di tutto per affogarti (e quasi mai è acqua), ora ti ritrovi che se avessi fatto le scelte più comode tipo chessò farti assumere in qualche società anonima scaldando la sedia per 8 ore, ora avresti un fisico in forma (si esce tranquillamente alle 18, qualcuno anche prima, dite che non si va a fare una corsetta o una nuotatina?), una moglie, degli amici con cui farti la partita a calcetto o a World of Warcraft, e andresti persino a farti giri ai vari outlet o dai piastrellisti perchè staresti acquistando casa.
E non avresti dovuto, negli ultimi 10 anni della tua vita, continuamente adattarti ai vari cambiamenti: che siano clienti che tagliano commesse o normative che cambiano condizionando il tuo ambiente.

Quindi ti ritrovi a cercare modi per difendere il tuo mondo, nonostante le istituzioni ti dicano che cambiare regime è per il tuo bene, per i tuoi diritti.
In nome di comodità che gli altri hanno già accettato da tempo e che a te danno solo la nausea perchè sanno di spreco.
E tu invece ogni mattina vai a guardarti allo specchio perchè non hai un sistema che ti protegge ma nonostante tutto cerchi di muoverti nell’onestà per sopravvivere, perchè certi sistemi, quando hai dovuto scegliere, erano gli stessi che non funzionavano.

Essere pragmatici non paga.

E gli evasori sempre là, tra Cayenne e troie.

Non sono stanco, sono stufo.
La stanchezza è un periodo, ti riposi e ti passa.

Essere stufi è un disagio mentale.

Chi vuole essere Golia?

Ci ho riflettuto, come sempre, mentre non avevo altro per la testa.
Ero sulla metropolitana, mentre leggevo la mia timeline di twitter, meticolosamente suddivisa in liste da attivare a seconda della previsione di tempo libero che ho davanti.

Lista Orbita5, tarata su interazioni da 5 minuti.
E’ mattino, verso le 8.45, quindi girano quasi solo i buongiorno.
E poco più.

Lista Volley, dove seguo le notizie di questo sport, vedo un tweet: “Grande vittoria del Conegliano contro Busto, è come Davide contro Golia”.

Il riferimento è della sera prima: il Conegliano ha battuto la detentrice del titolo in semi finale.

Ma il punto non è questo, il punto è considerare Busto come Golia.

Quanto tempo occorre per diventare Golia?
Busto nello scorso campionato, 12 mesi fa, stava compiendo la sua impresa dalla parte di Davide.

Sconfiggere il Villa Cortese e il Bergamo (quest’ultima praticamente incontrastata dominatrice del campionato da circa un decennio) per accaparrarsi il suo primo scudetto.
Una squadra di giovani promesse del volley italiano che erano diventate professioniste con il tempo e tanta dedizione.

Vinse, come Davide contro Golia.
Una squadra come il Busto sconfigge la veterana Bergamo e poi la sempre-in-finale Villa Cortese.

Dopo un anno le pantere di Conegliano, una squadra di tutto rispetto, benchè al primo anno di fatto è la stessa che da quindici anni si muove nel campionato italiano.

Certo, un Davide anche lei, ma non meno di Busto 12 mesi prima.

E da li la mia mente prende il volo, e non parlo più di volley.
Se basta un anno di vittorie per essere considerati Golia qualcosa non va.
Meglio perdere se vincendo ci si guadagna “solo” il rispetto di chi ti ama ma anche l’odio di chi ti considera già Golia.
.
Chi vuole essere Golia?
Non c’è gusto nella vittoria se serve solo ad essere considerati nemici.

E allora preferisco perdere, tanto Davide è più simpatico, ha più amici e persone che tengono per lui.

Ma il grande ossimoro di questa storia è che non puoi sperare che Davide non vinca, altrimenti non sarebbe Davide.

La storia dei Davide che han perso non le hanno mai raccontate, perchè non facevano notizia.
In definitiva è più vero che non potrebbe esistere un Davide, senza un Golia.

Davide deve tutto a Golia, o sarebbe nessuno.
Ma Golia quindi chi ha sconfitto per essere tale?

Dunque è nato prima Davide o Golia?