33 anni e mi sa che comincerò a fare il cameriere e mi laureerò.
D’altra parte, quando poco più di dieci anni fa lasciai l’università, era settembre 2001, mi dissi “vado a lavorare per capire a cosa mi serve la Laurea, poi la prenderò, ora non ha senso: troppa teoria mentre il mondo del lavoro galoppa”.
Bene, quindi cominciai a lavorare.
Non avevo altra scelta, avevo già delle spese troppo alte: avevo acquistato un auto, pagavo l’assicurazione, la benzina, e anche tutte le spese erano a carico mio, i miei, finita la scuola superiore non sosteneva economicamente (la mia prima auto regolarmente acquistata sebbene fosse usata, pagata 1500euro), a parte diciamo vitto e alloggio (che non è mica poco eh).
Tutto questo da quando avevo 20 anni.
Ma non aprii partita iva, non ne vedevo il motivo: mio fratello l’aveva ma non capivo perchè uno doveva perdere tempo a far fatture, pagare un commercialista, pagare iva e tasse per non avere ferie e malattia e poter essere cacciato da un giorno all’altro, se (nel migliore dei casi) al cliente veniva meno la commessa.
E allora mi feci assumere, anno 2002, in verità anche con l’obiettivo di saltare la naja: legge De Martino numero NON-RICORDO, art. 10, comma m (questi li ricordo): potevo aver diritto al congedo se, con il mio servizio di leva, si bloccava un’intera area produttiva dell’azienda.
Nell’azienda in cui lavoravo eravamo: il titolare, io come capo progetto formale, un ragazzo alla quale ho insegnato tutto l’insegnabile in due anni e la sera un paio di volte alla settimana un ingegnere esterno che era il vero capo progetto ma mi insegnava come tenere le “fila di un progetto” durante la sua assenza.
Avevamo anche due stagisti da formare quindi feci richiesta e due settimane prima della partenza al Servizio di Leva (avevo già in mano la famosa “cartolina”) arrivò il Congedo: è tuttora il giorno più bello della mia vita e non ne ricordo nemmeno la data. Incredibile.
Si vede che non vado a braccetto con la felicità.
Periodo di grande formazione professionale, ma a metà 2004 sentivo che non stavo imparando più nulla.
Decisi di cambiare e mi feci assumere da un’azienda di consulenza a Milano.
Finalmente Milano, a 24 anni.
Purtroppo li l’esperienza si concluse male: in sei mesi di dubbi colloqui (poco ci mancava mi chiedessero di fare amministrazione, e con il senno di poi avrei pure accettato) mi lasciarono a casa.
7 Ottobre 2005 venni licenziato, la prima volta in vita mia che il giorno dopo mi sarei svegliato senza aver formalmente nulla da fare. Ricordo che quella sera andai al cinema a vedere “L’esorcismo di Emily Rose”. Non mi piacciono i film d’orrore, ho troppa paura, ma quella sera non provai nulla.
Mi presi del tempo per imparare delle nuove tecnologie e a Gennaio 2006 aprii la partita iva perchè ebbi il “sospetto” che le aziende non erano propense ad assumere.
Dopo quindici giorni (e decine di chiamate di richiesta di lavoro) il primo lavoro.
Una consulenza che poi mi impegò per tre anni.
Qui il salto è stato enorme: finalmente ero davvero in contatto con la vera consulenza milanese, wow.
La chiusura della commessa dal cliente e l’idea che si potesse lavorare ancora più ad alto livello mi spinsero a provare a lavorare con più alte eccellenze sul panorama italiano.
Perchè no?
La cosa andò in porto e dal 2009 quindi altra botta professionale: ora non solo lavoravo nella consulenza ma intravedevo anche qualcosa di manageriale.
Come si stima un progetto, le risorse impegate, provare a capire quando una certa dinamica sia sostenibile o meno.
E poi ancora, non solo codice ma anche cura del cliente, scrittura di analisi, deontologia.
E commesse tagliate.
Sei mesi senza progetti nel 2010, il pareggio dei primi mesi del 2011 (raggiunsi addirittura il livello del conto in banca del 2003, prima di acquistare l’auto. 6 anni di partita iva per riportarmi ai livelli del conto che avevo dopo circa 2 anni di dipendente) poi il boom del tardo 2011 e la lieve flessione del 2012.
E siamo alla storia recente.
Qualcuno a questo punto della storia potrebbe anche giustamente chiedersi perchè, dopo queste conclusioni, continuassi a tenere il regime di partita iva e non mi fossi ancora fatto assumere (declinando la proposta per ben due volte da due società diverse).
La verità è che, conoscendomi, come dipendente potrei non lavorare nello stesso modo.
Io NON ho la passione del mio lavoro dal punto di vista tecnico, sfatiamo pure questo mito, ho la passione di far felici i committenti e di gestire le cose.
Questo da sempre, fin da quando facevo il Master in d&d: organizzavo le avventure e riuscivo a far perdere i miei NPC (Non Player Characters) a favore dei PC (Player Characters) con stile e con gran divertimento dei giocatori.
Vinceva il gioco.
Come dipendente continuerei a far bene il mio lavoro, dal lato tecnico, ma non credo riuscirei a sentirmi coinvolto ugualmente, non saprei come sentirmi gratificato (a meno che non mi facciano manager, a quel punto tornerei ad avere alcuni dei pesi di responsabilità che si hanno nel rappresentare una propria attività).
Non si passa facilmente da gestire una partita iva a fare “solo” il proprio lavoro per 8 ore.
Avete presente Rambo quando torna alla vita civile?
Ecco.
In realtà da questo torpore ho cominciato a svegliarmi durante il 2012: 32 anni e, cambiando cliente, scopro un mondo dove la totalità (si, TUTTI) i miei colleghi, alcuni della mia età, alcuni anche molto più giovani (5 ma anche 7 anni in meno) hanno moglie (o marito), una casa e magari anche un figlio.
E giocano a calcetto, coltivano passioni.
Li vedo lavorare: per lo più scaldano la sedia: fanno cose in 8 ore che io faccio in più o meno 15 o 20 minuti.
Avete presente Rambo contro la Guardia Nazionale fuori dalla miniera?
Ecco.
Ma realizzo che non si vive per lavorare: lavorano ventiquattro volte in meno di me (è matematica eh: 8 ore / 20 minuti = 24), il che vuol dire più o meno che mese di loro lavoro è paragonabile ad una mia giornata (considerando circa 21 giorni lavorativi al mese), ma hanno una casa ed una moglie, le ferie e la malattia.
Alcuni la macchina aziendale o il cellulare, i ticket.
Tutte cose che mi danno la nausea perchè io ogni giornata me la devo sudare, altrimenti posso essere lasciato a casa, e di certo non avanza nulla.
Primi mesi del 2013, l’ennesima commessa interrotta improvvisamente e un mesetto di fermo, ricomincio a lavorare ma si presenta la Riforma Fornero del Lavoro.
Con questa riforma chi è in partita iva ma si trova in regime di monocommittenza (ovvero un solo cliente, come se il destinatario delle fatture identificasse il lavoro che svolgi) fa un uso fraudolento (fraudolento addirittura, dopo tutti i sacrifici per avere un ricavo di cui vivere) della stessa, perchè si ipotizza un mascheramento di un rapporto in realtà continuativo e subordinato (tradotto: dipendente).
Si perchè il problema non è l’evasione fiscale ma “smascherare” le “false” (false secondo i criteri sopra esposti) partite iva.
Ci sono anche clausole per non rientrare in questa normativa, come per esempio essere iscritti agli Albi o Ordini Professionali.
Certo ma regole create nel 2012 che non tengono conto che nel 2001 (quando io ho lasciato l’università) mica serviva essere inquadrati in certi Ordini per poter lavorare “liberamente”.
Così mentre è ovvio che non essendo laureato non possa iscrivermi all’Albo degli Ingegneri (nonostante la mia mansione sia praticamente quella da circa 10 anni), allora m’informo sul Consiglio Nazionale dei Periti Industriali (essendo Perito Informatico) e scopro che ora, per aver diritto al concorso devi essere laureato.
Per essere registrato al Consiglio Nazionale dei Periti Industriali, devi essere laureato. Mah.
Per inciso, nel mondo del lavoro (cavolo come è avanti), 10 anni di anzianità corrispondono al profilo di laureato.
Così mentre uno si è creato un proprio mondo, un proprio ecosistema in modo molto pragmatico (altro che “l’hai scelto tu”), lasciando l’università perchè non ce la si può permettere (a meno di non fare qualche lavoretto part time che però nulla ha a che fare con il lavoro che vorresti, rimandando quindi la tua preparazione), aprendo partita iva altrimenti vaghi per anni inviando curriculum (e quindi continuando quei lavoretti già menzionati) e finalmente imparando a galleggiare in un mondo che fa di tutto per affogarti (e quasi mai è acqua), ora ti ritrovi che se avessi fatto le scelte più comode tipo chessò farti assumere in qualche società anonima scaldando la sedia per 8 ore, ora avresti un fisico in forma (si esce tranquillamente alle 18, qualcuno anche prima, dite che non si va a fare una corsetta o una nuotatina?), una moglie, degli amici con cui farti la partita a calcetto o a World of Warcraft, e andresti persino a farti giri ai vari outlet o dai piastrellisti perchè staresti acquistando casa.
E non avresti dovuto, negli ultimi 10 anni della tua vita, continuamente adattarti ai vari cambiamenti: che siano clienti che tagliano commesse o normative che cambiano condizionando il tuo ambiente.
Quindi ti ritrovi a cercare modi per difendere il tuo mondo, nonostante le istituzioni ti dicano che cambiare regime è per il tuo bene, per i tuoi diritti.
In nome di comodità che gli altri hanno già accettato da tempo e che a te danno solo la nausea perchè sanno di spreco.
E tu invece ogni mattina vai a guardarti allo specchio perchè non hai un sistema che ti protegge ma nonostante tutto cerchi di muoverti nell’onestà per sopravvivere, perchè certi sistemi, quando hai dovuto scegliere, erano gli stessi che non funzionavano.
Essere pragmatici non paga.
E gli evasori sempre là, tra Cayenne e troie.
Non sono stanco, sono stufo.
La stanchezza è un periodo, ti riposi e ti passa.
Essere stufi è un disagio mentale.